terça-feira, 1 de junho de 2010

Cosa sarà la sta Merica?


L’altro giorno sono andata al teatro per partecipare alla “serata italiana per la solidarietà” organizzata dal comune della mia città per raccogliere del cibo per i meno fortunati.
Non vorrei dire cavolate, ma sono quasi sicura che circa il 70% della popolazione della mia città abbia origini italiane. I primi italiani sono arrivati qui alla fine dell’ottocento e molti hanno coltivato l’uva e le fragole, ma la gente di Jundiaí coltiva tuttora un’altra passione: quella per il cibo e per la musica italiana. Ma quando parlo di musica italiana, mi riferisco a quella di tanti decenni o anche secoli fa: le arie delle opere più famose, canzonette regionali e tanta tarantella. Le mie zie, che hanno lasciato Teramo quando erano ancora molto giovani, ballano la tarantella tuttora nelle feste di famiglia. L’Italia che loro hanno lasciato e l’Italia per cui mi sono innamorata decenni dopo sono completamente diverse.
Il repertoire della serata è stato, dunque, adeguato all’immaginario colletivo che queste persone hanno coltivato in tutti questi anni. Un bravo tenore ha cantato delle arie famose e tanti cori hanno cantato le canzone che ho ascoltato sin da piccola senza capire neanche una parola. Io ho ascoltato tutto con una nostalgia imensa nel cuore e con alcune lacrime più ribelli che non sono riuscita a contenere. Mi ha colpito ancora di più una canzone molto famosa in Brasile, scritta nel 1875 da Angelo Giusti, emigrato italiano che ha vissuto nel sud del Brasile.

La Merica

Da l’Italia noi siamo partiti
Siam partiti col nostro onore.
Trenta sei giorni di macchina e vapore
E in America siamo arrivà.
Merica, Merica, Merica,
Cossa sarala sta Merica?
Merica, Merica, Merica,
un bel mazzolino di fior.
A l’America noi siamo arrivati
Non abbiam trovato nè paglia e nè fieno
Abbiam dormito sul nudo terreno
Come le bestie abbiam riposà.
Ma l’America l’è lunga e l’è larga
È circondata da monti e da piani
E con l’industria dei nostri italiani
Abbiam formato paesi e città.

Mentre ascoltavo questa canzone mi è venuta in mente tutta la storia della mia famiglia, dei miei nonni e zii che hanno speso oltre un mese in una nave per arrivare in una terra completamente sconosciuta, in un tempo in cui il cellulare e l’internet non esistevano e la TV era ancora un lusso al quale non se lo potevano permettere. Ho pensato alla strada opposta che ho scelto di seguire 5 anni fa e tutte le cose che ho scoperto in Italia, le persone che ho conosciuto, i bei momenti che ho vissuto e i bei ricordi che mi sono riportata dietro. Ho pensato, finalmente, a come in questo momento mi sento una forastiera nel mio proprio territorio, rifiutando tutto quello che è diverso per poi digerirlo piano piano.
In questo momento non mi sento appartenere a questa città e a questo paese. Oggi sono io che mi faccio la domanda che si sono fatti i miei tanti anni fa: “Cosa sarà questa America?”
Il tempo mi aiuterà a trovare una risposta, mi farà capire quando sarà il momento di appartenere o di ripartire.

2 comentários:

Priscila disse...

Também me emociono com tudo isso...
E penso, penso, como se o pensar pudesse me ajudar a entender sentimentos tao complexos.
Nao ajuda, mas faz parte do jogo, faz parte dessa escolha (cheia de descobertas e duvidas) que traçamos estrada afora.
Eis que algum maluco tà tentando imitar um samba à bateria, em alguma ruela do centro de Novara, noutro art festival maccherronico...
A vida é mesmo muito engraçada.

Bungler Butterfly disse...

Cami! Sempre presa tra due fuochi, partire o restare. :)
Goditi il momento. E poi riparti ancora.

Mi manchi.

Ale